giovedì 26 luglio 2012

Camera con vista, di Renzo Montagnoli

Amori d’altri tempi.




                                                                      Foto da web


Camera con vista



di Renzo Montagnoli







“Affittasi camera a persona referenziata in casa del settecento con splendida vista su Piazza Sordello”

Carlo trasalì: era quello che cercava da tanto tempo. Ripose il giornale, poi telefonò.

- Sì, è una camera ammobiliata con una vista splendida.

- Fa proprio al caso mio; sono un ingegnere ormai in pensione che è stato tanto tempo lontano dalla sua città e vorrebbe risentirne ogni giorno il profumo.

- Le do l’indirizzo; venga pure a fare una visita quando vuole.

- Se non le spiace, sarò da Lei fra una mezz’ora. Mi dica esattamente dov’è?

-  In via Tazzoli, 10.

Carlo strinse ancor più forte la pagina del locale quotidiano, perché meglio di così non poteva andare: la via era quella giusta ed il numero 10 era proprio davanti al 23.

Rivide mentalmente il vecchio portone, il cortiletto interno, le scale semibuie e l’appartamento al secondo piano; fu un flash, un ricordo nitido e improvviso di un’immagine a lui tanto familiare una trentina di anni prima.

Uscì dal bar e si soffermò un momento a scrollarsi l’odore di fumo che gli si era appiccicato, poi s’incamminò lentamente lungo via Trieste; giunto al ponte sul Rio, si fermò a guardare l’acqua che scorreva in basso fra le vecchie case.

E cominciò a pensare; era arrivato lì dopo un lungo viaggio, di diverse ore di aereo, dal Messico dove aveva costruito il suo ultimo ponte, il più bello, il suo canto del cigno e come un cigno si librava su una valle stretta, profonda; non sembrava neppure l’opera di un uomo, ma una creazione della natura, che si elevava talmente in alto da sembrare toccare il cielo.

Ora, che era arrivato quasi al termine del viaggio, gli sembrava che l’arrivo fosse infinitamente lontano, quella meta che nell’ultimo anno della sua attività lo aveva continuamente assillato. Eppure mancava poco: duecento, trecento metri, una distanza che ad ogni passo diventava insormontabile. Riprese il cammino, imboccò via Pomponazzo, passò rasente Palazzo Sordi ed infine arrivò a Piazza Arche. Un pezzo del lago Inferiore si lasciava intravedere alla sua destra, un piccolo diadema verde a cingere vestigia del passato.

Gli tremarono le gambe quando piegò per Via Tazzoli; la leggera salita del percorso che portava nella splendida Piazza Sordello  sembrò di una difficoltà estrema. Si guardava intorno: non cercava il numero 10, ma il 23 e quando lo vide le pulsazioni aumentarono a dismisura. Ecco là il vecchio portone, immutato, con la vernice forse un po’ più scrostata. Si accostò quasi tremante a osservare i nomi sui quattro campanelli e trasalì: c’era anche quello, sì nulla era cambiato. Era ancora viva, quindi; fu tentato di appoggiare il dito, ma all’ultimo momento si ritrasse.

Come uno squarcio di luce nella nebbia riprese prepotente il tormento del ricordo.



“” Era una domenica e lui era andato a prendere Claretta, per la prima uscita insieme.

Aveva suonato e gli era stato aperto; attraversato il cortiletto interno, aveva salito ansioso le scale e…

- Si può entrare?

Una voce maschile aveva risposto affermativamente ed eccolo nel piccolo salotto di fronte al Sig. Bartolomeo Damiani, a sua moglie ed alla figlia Claretta, bella, sempre più bella, permeata di una grazia leggiadra. I genitori stavano un po’ impettiti, ma gli occhi della fanciulla sprizzavano lampi di gioia.

- Sig. Damiani, sono Carlo Baldi e…e…, insomma mi piacerebbe uscire oggi con sua figlia.

- Giovanotto, spero che le sue intenzioni siano più che serie. Del resto Claretta ci ha detto qualche cosa di lei.

E Claretta , mentre arrossiva, gli sorrise. - Io e mia moglie abbiamo solo questa figlia, una gran brava ragazza, e viviamo solo per lei. Certo che può uscire, ma non le manchi di rispetto: è come un fiore che sboccia e non vorrei che dovesse subito appassire.

E così iniziò la storia, così bella nelle premesse e così triste nelle conclusioni.””





Si scosse, attraversò la strada e si trovò davanti all’ingresso del numero 10, che ricordava come una fatiscente casa del 700, ma che ora si presentava restaurata, pur conservando i tratti del fascino antico, come una vecchia nobile signora, dalle cui rughe  traspariva la bellezza di un’epoca passata.

Salì lungo le scale e bussò alla porta, che si aprì.

- Buon giorno, signora, sono l’Ing. Carlo Baldi; le ho telefonato mezz’ora fa.

- Si accomodi, ingegnere. Non sa quanto sia contenta che lei sia venuto; è un vero onore per me ospitare l’artista dei ponti, l’uomo che ha tenuto alto il nome dell’Italia in tutto il mondo.

- Non esageri, signora. Ho fatto solo il mio lavoro -  e osservò con attenzione la figura esile che gli stava davanti, concludendo che doveva avere più o meno la sua stessa età.

- La stanza in questione dà proprio su via Tazzoli; in verità, per vedere un pezzo di Piazza Sordello, bisogna sporgersi, ma ne vale la pena. Eccola, gliela mostro.

Arredata con vecchi mobili di prima della guerra, era una camera accogliente, linda, luminosa. Pochi gli arredamenti, limitati allo stretto necessario: il letto, un comodino, l’armadio e una graziosa poltroncina di tessuto decorato con fiori di mimosa.

- Va benissimo; la prendo, il prezzo non importa, faccia lei.

- Vanno bene 300 Euro al mese?

- Benissimo.

- Per quanto tempo?

- Fino a quando questa gentile signora padrona non mi caccerà.

Ci fu un risolino soffocato, quasi a schermirsi, e la donna salutò a voce bassa, uscendo dalla stanza.

Carlo non perse tempo; prese la poltroncina e si sistemò davanti alla finestra. Non gli importava della vista su Piazza Sordello, ma da lì, da quel davanzale poteva osservare perfettamente il portone del n. 23, parte del cortiletto interno, e, soprattutto, le due finestre di un certo appartamento del secondo piano.

La casa sembrava disabitata: nessun rumore e tanto meno movimenti. Le finestre in questione poi non lasciavano trasparire nulla dell’interno, coperte com’erano da pesanti tendaggi scuri.

Fissò nuovamente il portone.



“” E’ stata una bellissima giornata, Carlo; oggi Mantova mi è sembrata diversa, le case, i monumenti brillavano di una nuova luce. Ritornerai anche domenica?

- E me lo chiedi? Anche per me oggi è stato un giorno incredibilmente stupendo e questo grazie a te.

Claretta non disse nulla, ma quando le loro labbra s’incontrarono fu percorsa da un fremito che la fece sussurrare - Sei un sogno… Poi corse in casa.””





Sorrise, ripensando a quel giorno di tanti anni prima, all’atmosfera di sogno che da quel breve contatto era nata così all’improvviso. E anche adesso stava sognando, perché davanti a lui c’erano solo cose inanimate, veicoli di ricordi che emergevano prepotenti dal momentaneo oblio del tempo trascorso.

Immerso nei suoi pensieri non si accorse che si era fatto tardi e che già era abbondantemente passata l’ora della cena. Poco male, sarebbe andato a letto subito, stanco com’era per il lungo viaggio fra due continenti e fra il passato ed il presente.

Già all’alba, ai primi rumori della strada, era sveglio e si rimise al suo posto di osservazione.







“” - Ti voglio sposare, Claretta, non riesco a vivere senza di te.

- Sei un amore, Carlo, e Dio è stato buono con me permettendomi di conoscerti.

- Domenica ne parlerò a tuo padre e spero proprio che non sia contrario.

- Stai tranquillo; ne sarà più che felice. Dove andiamo oggi?

- Una bella passeggiata nelle viuzze dietro il Duomo, un gelatino giusto per rinfrescarci e poi.., e poi purtroppo verrà l’ora in cui dovrai tornare a casa.

Fu una passeggiata tranquilla, durante la quale Carlo parlava e Claretta ascoltava estasiata.

- Vedi, il lavoro che ho a Mantova è ben retribuito e ci consente di vivere dignitosamente, ma non è quello che desidero; ho sempre sognato di costruire ponti, uno più alto dell’altro, come cattedrali che svettano verso il cielo. Ho ricevuto un’offerta estremamente interessante da una grossa azienda, ma è evidente che in tal caso a Mantova non potremo più stare; saremo sempre in giro per il mondo: paesi nuovi, gente diversa, dalle steppe dell’Asia alle foreste del Brasile. Te la senti di fare una vita così?

- Per te e con te andrei perfino sulla luna; ti amo, Carlo, e sempre e in ogni caso ti amerò.””







Osservò nuovamente il portone che, in quel momento, si aprì, lasciando uscire un giovane sulla trentina, alto, snello, che con passo deciso imboccò la via, probabilmente per andare al lavoro. Sorrise, dicendo fra sé - Ecco, qualcuno che ha ancora tutto il mondo davanti, che può creare o distruggere la propria vita.

Guardò l’orologio: segnava le otto in punto. Si sistemò meglio e lancinante gli sovvenne il ricordo di quanto accadde dopo quella promessa di matrimonio.





“”In una sola settimana la vita due esseri fu stravolta, il destino implacabilmente li destò dal romantico sogno in cui erano immersi.

Il martedì, improvvisamente, venne a mancare, per un colpo apoplettico, il Sig. Bartolomeo Damiani ed il venerdì, forse per il dolore, la vedova fu colpita da un ictus che la paralizzò completamente.

E cominciò anche la sua tragedia.

- Claretta, appena possibile, anche per te, è meglio che ci sposiamo.

- Carlo, io devo rimanere accanto alla mamma, lo sai che non può stare sola e non so se sei disposto ad un simile sacrificio.

- Pur di restare con te non andrò via da Mantova, non costruirò ponti…

- Ti amo e proprio per questo ti conosco; sono più che sicura che prima o poi finiresti con il dichiararti insoddisfatto; tu mi ami, lo so, ma a rinunciare alla tua passione  non ti vedo e non voglio sentirmi rinfacciare in seguito che ti ho condizionato la vita; pensaci bene prima di fare un passo sbagliato.

E pensò, tentato da un lato dal sentimento per Claretta, che gli pareva meno contraccambiato di prima per quella sua dedizione quasi ossessiva alla madre, e dall’altro da quel desiderio innato, a stento soffocato, di concretizzare quel talento che invadeva la sua mente.

Prese a incontrarsi meno con Claretta, anzi le occasioni d’incontro divennero sporadiche, e alla fine lui decise.

Le scrisse una lunga lettera di commiato, temporaneo così diceva, promettendole che non appena la situazione della madre avesse avuto una positiva evoluzione, un eufemismo che sottintendeva la morte della donna, sarebbe tornato a riprenderla per portarla via con sé.

Il distacco, già avvenuto gradualmente, non gli parve così doloroso e il nuovo lavoro, di estremo interesse e gratificante, fecero sì che l’idea della promessa restasse solo nelle righe dello scritto, anche se, a onor del vero, ogni tanto, dai più disparati posti, le inviava delle lettere, rimaste tutte senza risposta.””





- Posso?

Carlo si scosse nell’udire la voce della padrona

 - Prego.

- Ingegnere, non so se posso, ma ieri nel pomeriggio, tornando da un giro in centro, l’ho vista alla finestra e anche questa mattina è ancora lì; non sono affari miei, ma non è di una persona come lei stare ore ed ore solo a guardare. Per caso, conosce qualcuno che sta nella casa di fronte?

- Sì, una vecchia amica che desidererei tanto rivedere.  E la voce quasi gli si strozzò in gola.

- Era anche mia amica Claretta, perché la persona di cui parla è  Claretta Damiani, vero?

- Sì…

- Troppo tardi è tornato; è morta due anni fa. Ha atteso il suo arrivo tanto e anche prima di morire ha sperato; gli ultimi giorni ha voluto che il portone restasse sempre aperto, per lei.

Carlo non riusciva a trattenere le lacrime  - Le ho scritto diverse volte, ma non mi ha mai risposto; che cosa potevo fare? Come ho finito il mio lavoro, sono tornato subito e se non ho suonato al suo campanello era solo per la paura che lei si fosse sposata.

- No, non si è mai voluta sposare; mi diceva che non rispondeva alle sue lettere perché non voleva farle capire quanto l’amasse, inducendola così ad abbandonare quello che tanto aveva desiderato fare. Però, se lei è sincero, mi confermerà che queste sue lettere le ha spedite solo nel primo periodo, e non negli ultimi venti anni.

- Sì, è vero, ma poiché non mi rispondeva ho temuto di non interessarle più.

- Ed allora perché adesso è ritornato?

- E’ difficile ammetterlo, ma ho trascorso la mia vita solo per il mio egoismo e quando ho costruito l’ultimo ponte, il più alto del mondo, mi sono accorto di quanto fossi  in basso io, solo, senza affetti, senza amore; mi sono detto: chissà, forse lei c’è ancora, forse non è sposata, o lo è stata, o comunque adesso è libera; c’è ancora del tempo da vivere e il passato può diventare anche un lontano ricordo. E invece…

- Lei non immagina neppure quanto l’abbia amata; conservava tutti i ritagli dei giornali che parlavano dei ponti che ha costruito; l’ha cercata in prossimità della morte, ma, quando abbiamo saputo dov’era, Claretta già ci aveva lasciato.

- Saputo? Chi, oltre a lei signora, mi ha cercato?

- Carlo Damiani, suo figlio, vostro figlio.

- Ma come. Ho un figlio, un figlio, e non l’ho mai saputo!

- E’ nato poco dopo che lei ingegnere era partito per la sua avventura. Non ha voluto dirglielo, perché sapeva che sarebbe tornato per sempre, suo malgrado.

- Dov’è, dov’è quest’uomo?

- Abita lì, è alto come lei, snello, un bel ragazzo, sa chi è suo padre, anche se non l’ha mai visto. Strano che non l’abbia notato quando esce di casa ogni mattina alle 8.

E Carlo si sovvenne.

 - Non sono tornato per niente, ho un figlio, a cui attribuirò la paternità; sarò il suo mentore, sarò quel genitore che tanto tempo fa avrei dovuto essere.

E il giorno dopo scese di primo mattino in strada e si mise di fronte al portone. Alle 8 in punto questo si aprì e uscì il giovane.

- Mi scusi, solo un momento, due parole…

- Dica pure.

- Mi presento: sono Carlo Baldi.

Il giovane non disse nulla e nemmeno si mostrò sorpreso.

- Sono tuo papà e desidero esserlo a tutti gli effetti.

- Signor Baldi, la posso anche capire, ma non abbiamo niente da dirci. Io non ho più l’età per avere un padre ora e neppure lei ha l’età per avere un figlio adesso. Mi scusi, ma vado perché sono in ritardo.

- Aspetta, parliamone ancora…

Ma il giovane affrettò il passo e ben presto sparì alla sua vista.

Carlo si appoggiò al portone; l’angoscia crebbe in lui non appena cominciò ad accorgersi che il lungo viaggio era finito, anzi non era mai iniziato.

    

 



    


7 commenti:

  1. "Io non ho più l’età per avere un padre ora e neppure lei ha l’età per avere un figlio adesso."
    Bellissima e giusta la reazione del ragazzo a un padre altamente egoista.
    Un racconto sì con amori d'altri tempi, ma anche oggi ce ne sono, più di quanto non s'immagini.
    Piaciuto molto.

    Agnese Addari

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  2. Eh, sì Renzo, il messaggio è chiaro: nulla vale di più di un amore vero e sincero. Guai a lasciarselo scappare! Però se io fossi stata l'amica di Claretta avrei cercato in qualche modo di rintracciare il signor Baldi! Eh, se ci fossero stati i cellulari forse le cose sarebbero andate diversamente!!!!
    Bel racconto di sentimento profondo.
    Giovanna

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  3. Un bel racconto, che mi riporta ai tempi dove i sentimenti erano sublimi ed eroici. Certo i tempi sono cambiati e con loro il modo di sentire. Temo, però, che se ci fossero stati i cellulari, con i quali rimediare in tempo a una situazione diventata poi drammatica, sarebbe mutato anche il modo di amare, perché la rapidità del comunicare va a costo della profondità dei sentimenti. Potrei anche sbagliarmi, e ci sono certamente anche oggi casi simili al letto, ma mi sembra che sia l'attesa a rafforzare il sentimento provato, anche se le decisioni vengano poi dettate dall'egoismo personale.
    Lorenzo

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  4. Ho da poco rivisto " L'amore al tempo del colera" e questo tuo racconto, per l'intensità del sentimento espresso dal personaggio femminile (in questo caso), me lo ha un po' ricordato. Tanto ben scritto, caro Renzo, complimenti e buone vacanze.

    franca

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  5. E' a dir poco meraviglioso, soprattutto il finale...non si torna indietro per cercare di recuperare il passato. Un figlio cresciuto senza il padre, non è più figlio, così come senza una madre. Dal momento in cui si diventa genitori, si comincia ad inventarsi onori ed oneri, educatori e dispensatori di affetto. Se tutto questo è mancato ad un figlio, negli anni in cui la presenza del padre era necessaria, poi quel padre non serve più, di un genitore pieno di ricordi persi nel vuoto, non si sa cosa farsene! Un racconto che fa riflettere. Molto! Complimenti all'autore!

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  6. Ci si accorge sempre tardi di quel che si ha ed è vicinissimo a noi, poi subentrano i rimpianti ed i rimorsi. Una storia che avvolge e trasmette tutta la malinconia di cui è pervasa. Poteva avere un finale diverso, invece hai scelto, giustamente, una conclusione molto più realistica, che è anche una resa di conti.
    Sempre bello leggerti.
    Approfitto per augurare a te e ai tuoi un buon proseguimento di vacanze. Buon ferragosto!
    Piera

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  7. Per nulla banale, anzi molto bello.

    Nadia

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