mercoledì 31 ottobre 2012

La città del silenzio, di Renzo Montagnoli


Quei giorni s’avvicinano.

 
                                                                       Foto da web
 

La città del silenzio

di Renzo Montagnoli

 

 

 

Ovunque è silenzio

fra i viali orlati dai bossi

tra le croci annerite dal tempo.

Lì regna un’unica voce

immensa eppur flebile

sonante eppur tacita

in strade deserte

in case ormai mute

in questa città

abitata dai morti.

Ma ci sono dei giorni

in un autunno di grigiore

fra foglie rinsecchite

sospinte dal vento

sotto cieli plumbei

che piangono lenti

ci sono pochi giorni diversi

di gran movimento

con gente che omaggia

con cicalecci diffusi

fra dolori recenti

ed altri ormai

inchiodati al cuore.

Son feste per loro

che nemmeno lo sanno

son tributi di comodo

oppure pegni di rimorso.

È tutto un viavai

fra gli alti cipressi

fra marmi sbiaditi

con lumini smorzati dal vento

con preghiere appena biascicate.

 

Poi

ritorna la calma

s’acqueta la piazza

il vento rincorre le foglie

il silenzio ritorna padrone.

 

(da La pietà)

 

 

La colonna sonora d’obbligo:

 


 

 

 

 

Saluti notturni dal Passo della Cisa, di Piero Chiara



Saluti notturni dal Passo della Cisa

di Piero Chiara

A cura di Mauro Novelli

Introduzione di Giovanni Tesio

In copertina: Antonio Donghi, Donne per le scale (1929)

Firenze. Collezione Banca Toscana

Arnoldo Mondadori Editore

Narrativa romanzo

Collana Oscar scrittori moderni

Pagg. XXXVII – 112

ISBN 9788804492849

Prezzo € 9,00

 

 

Le molte verità

 

 

Correva l’anno 1986 allorché Piero Chiara, malato senza speranza di guarigione, scrisse questo romanzo, un po’ insolito, soprattutto per la collocazione geografica, per niente lacustre, protesa com’è da Bergamo a Lerici, ma con nel centro del mirino Langhirano, terra di prosciutti e che richiama un vago sentore godereccio, da sempre irresistibile per lo scrittore luinese. Non si pensi tuttavia di leggere di avventure che richiamano al riso, come nel riuscitissimo Il piatto piange, ma al più ci si può concedere qualche sorriso, come giusto del resto per un autore che si appresta a lasciare un mondo che ha sempre amato, descrivendolo con sottile ironia, portando alla luce vizi e difetti non certo per scopi moralistici, ma per ridere di noi stessi, ben lungi dall’essere perfetti e consapevoli che la vita è troppo breve per non essere vissuta.

Saluti notturni dal Passo della Cisa, che verrà pubblicato postumo, è un giallo che nasce da un fatto delittuoso realmente accaduto, tuttavia allineato alle esigenze di Chiara che voleva lasciare un’opera sul concetto di verità, un rompicapo dove tutto ciò che sembra logico non lo è e tutto quello che pare innaturale finisce con il diventare reale.

Un duplice delitto, forse non premeditato, in un’antica villa dove risiedono le vittime è un gioco d’arguzie che porterà a un finale sconcertante, come era già accaduto per La stanza del Vescovo e per I giovedì della signora Giulia.

Ci si chiede, infatti, se il dottor Salmarani, imputato degli omicidi, condannato  in Corte d’Assise e poi assolto in appello per insufficienza di prove, sia veramente colpevole e se esistano altre verità.

Se lo chiede anche sua moglie, figlia di una delle vittime, anzi lo chiede al marito e questo risponde: Ti ho messo davanti tutte le verità possibili. Scegli quella che ti va meglio.

Romanzo per certi aspetti enigmatico, Saluti notturni dal Passo della Cisa ripropone le eccellenti qualità dell’autore, che gioca qui fuori casa, ma le descrizioni del mar ligure, per chi scende dalla montagna, non sono meno efficaci di quelle di Luino, i personaggi godono di una loro autonoma propensione a dare impulso alla storia come in tutte le altre opere di Chiara e infine non manca uno spunto godereccio, una sublimazione dell’oggetto del desiderio che ben si riassume in questo periodo “La donna, che era nel fiore degli anni, mostrava quell’abbondanza di polpe che dai competenti non fu mai ritenuta grossezza o deformità, ma ricchezza di umori femminili e naturale predisposizione a profonderli. I suoi capelli, tra il rosso e il castano, lunghissimi e raccolti in una treccia improvvisata che le scendeva sulla schiena rotonda, apparvero, agli occhi del Salmarani che entrando nel locale la sorprese di spalle, come un segnale di via libera.”.

Così è descritta Maria Malerba, una delle due vittime, cameriera tuttofare, anche quello, per cui il movente potrebbe essere la gelosia, potrebbe, perché di mezzo c’è anche una montagna di denaro. E se gli interrogativi rimangono sull’identità del colpevole e sulla verità, ne restano pure altri sul movente, in un gioco di specchi che riflettono deformando.

Saluti notturni da Passo della Cisa è un romanzo stupendo, l’addio alla vita di un grande scrittore.

 

 

 

 

Piero Chiara nacque a Luino nel 1913 e morì a Varese nel 1986. Scrittore tra i più amati e popolari del dopoguerra, esordì in narrativa piuttosto tardi, quasi cinquantenne, su suggerimento di Vittorio Sereni, suo coetaneo, conterraneo e grande amico, che lo invitò a scrivere una delle tante storie che Chiara amava raccontare a voce. Da Il piatto piange (Mondadori, 1962), che segna il suo esordio vero e proprio, fino alla morte, Chiara scrisse con eccezionale prolificità, inanellando un successo dopo l'altro.

E’ stato autore particolarmente fecondo e fra le sue numerose pubblicazioni figurano Il piatto piange (1962), La spartizione (1964), Il balordo (1967), L’uovo al cianuro e altre storie (1969), I giovedì della signora Giulia (1970), Il pretore di Cuvio (1973), La stanza del Vescovo (1976), Il vero Casanova (1977), Il cappotto di Astrakan (1978), Una spina nel cuore (1979), Vedrò Singapore? (1981), Il capostazione di Casalino e altri 15 racconti (1986).

 

   

 

Recensione di Renzo Montagnoli

 

 

 

 

MondoBlog del 31 ottobre 2012


MondoBlog

 

I miei consigli per quest’ultimo giorno di ottobre:

 


 


 

giovedì 25 ottobre 2012

Il ladro di fiori, di Renzo Montagnoli

                                                                      Foto da web
                                                             

Il ladro di fiori

di Renzo Montagnoli

 

                              

- Che gli venga un accidente! Giuro che se lo prendo gli faccio rimpiangere d’esser nato.

- Anche questa volta? – fu il commento unanime degli altri dell’osteria.

- Anche questa volta! Eh sì che sono rimasto di guardia fino a dopo la mezzanotte, ma questa mattina presto quando sono ritornato sul cimitero del bel mazzo di dieci gladioli ne erano rimasti cinque, tale e quale lo scorso anno, e l’altro ancora.

Il Guercio guardò Soldino che, dopo la sfuriata iniziale pareva ora più calmo, anche se visibilmente sconsolato, e gli disse – Ti giuro che il 7 agosto del prossimo anno saremo lì a darti una mano, organizzeremo dei turni di guardia e lo prenderemo questo lurido ladro di fiori.

La vicenda di Soldino, al secolo Carlo Gentilini, ma così chiamato da prima della guerra per la tirchieria che lo connotava, aveva dell’incredibile.

Il 26 aprile del 1945, mentre tutti festeggiavano la fine del conflitto con canti e balli, un aereo americano aveva sorvolato il paese e, invece di lanciare zollette di cioccolato, come facevano quel giorno altri piloti, aveva scodellato una bomba da un quintale che aveva sfracellato la casa del Gentilini, in quel momento al lavoro nei campi, seppellendo le poche suppellettili e, soprattutto, l’Adalgisa, consorte di Soldino.

E’ possibile immaginare il dolore di quest’uomo che, in un attimo, si era ritrovato senza casa e senza moglie, completamente solo, poiché dalla loro unione non erano nati figli.

Per l’Adalgisa, con cui aveva vissuto per quasi quarantanni, nutriva un affetto profondo, frutto di un legame sincero che si era cementato con il tempo.

Si era così ritrovato a quasi settantanni allo sbando sulla strada, con poco denaro per vivere e, soprattutto, senza il conforto della persona amata.

Il Guercio, segretario della locale sezione del Partito Comunista, gli aveva trovato un modestissimo alloggio e ogni tanto gli faceva arrivare qualche piccolo aiuto economico, per integrare l’insufficiente pensione con cui doveva fare i conti per mangiare, poco, il mezzogiorno e la sera.

Nonostante le ristrettezze e privandosi di tutto il superfluo riusciva ogni anno a mettere da parte la somma necessaria per acquistare dieci bei gladioli da portare il 7 agosto sulla tomba della moglie, ricorrendo in quella data l’anniversario delle nozze.

Era quindi più che comprensibile l’animosità che lo coglieva accorgendosi che il giorno dopo il mazzo risultava puntualmente dimezzato; si era arrovellato, pensando a uno sgarbo nei suoi confronti, visto che era l’unico furto che avveniva sul cimitero, ma aveva trovato presto il motivo della preferenza del ladro, guardando le altre tombe, disadorne o al più ornate da modesti fiori di campo. Aveva anche pensato di adeguarsi allo stile comune, ma proprio non gli andava giù di dover rendere omaggio alla defunta con dei papaveri o delle margherite selvatiche, quando lei in vita aveva amato tanto i gladioli.

Anche quel 7 agosto del 1947 la cosa finì lì; in paese ne parlarono tutto il giorno, qualcuno fece trapelare dei sospetti, senza nessun fondamento, ma poi il giorno appresso la vicenda risultò completamente dimenticata.

Tuttavia, a parte Soldino, c’era chi aveva la memoria lunga e infatti il Guercio il 7 agosto del 1948, così come aveva promesso, organizzò le ronde, ognuna composta da due uomini. Era una giornata calda, con un’afa opprimente, quando il vedovo portò i fiori sul cimitero, li aggiustò nel vaso quasi con tenerezza, mormorò a bassa voce alcune parole, quasi si fosse messo a conversare con la defunta, poi recitata una preghiera, ritornò a casa, come gli aveva detto di fare il Guercio. La sua, più che una raccomandazione, fu un ordine – Te ne torni a casa subito e fai le solite cose; non azzardarti a tornare là; vai a letto e domani mattina, quando ti svegli, vai all’osteria, dove ci troverai con il ladro ad aspettarti.

E così fece; dopo una lunga notte insonne, un incubo dietro l’altro, arrivò finalmente l’alba. Attese un po’, nel timore che all’osteria non avrebbe trovato nessuno, poi, quando suonò la campana della prima messa, decise di andare. Si sentiva strano, avvertiva un’ansia corrosiva che lo spingeva a coprir di botte il furfante e, quando gli venne il desiderio di ammazzarlo, si rifugiò in chiesa. Restò poco, in un angolo, a contemplare il crocefisso con quel povero Cristo in legno rosicchiato dai tarli che faceva più pena di lui, vestito sempre allo stesso modo, con la camicia vecchia di dieci anni, come i pantaloni, tutti rattoppati, per non parlare delle scarpe, con i buchi delle suole rattoppati con il cartone che si scioglieva alla prima pioggia.

- Gesù, fa che non commetta un atto più odioso di quello che ha commesso lui. In questo mondo di miserie la sua forse è più grande della mia. Lo denuncerò, questo sì, ma non voglio mettergli le mani addosso.

Si segnò, uscì dalla chiesa e si affrettò verso l’osteria. Appena entrato, vide un crocchio di gente al centro della sala e udì subito la voce forte del Guercio – Oh, Soldino, è da un po’ che ti aspettiamo; proprio questa notte ti è venuto così sonno? L’abbiamo preso, colto, si suol dire, con le mani nel sacco, anzi nei fiori. Già gli abbiamo fatto capire l’errore che ha fatto; se vuoi favorire?

Il crocchio si aprì e poté vedere un uomo legato a una sedia, con il volto tumefatto, gli occhi pesti e un labbro spaccato. Soldino restò come paralizzato: quell’uomo davanti a lui, che non conosceva,  era il ritratto della sofferenza in persona.

Si rivolse al Guercio – Ti prego, non toccatelo più; portate qualche benda, un po’ acqua, cerchiamo di rimediare un po’ al danno.

- Se vuoi tu così, provvediamo subito, anche se a malincuore.

Soldino si accostò al prigioniero, gli sciolse i nodi, passo una mano fra i suoi capelli bianchi e gli mormorò – Perché l’hai fatto? Perché mi rubi sempre la metà dei gladioli?  E chi sei e dove abiti?

L’uomo, con voce tremante, lo guardò in viso e prese a parlare – Mi chiamo Franco Rigattieri e abito a Pieve, a nemmeno cinque chilometri da questo paese. Ho sessantacinque anni e vivo, se si può dire vita, della mia modestissima pensione, insieme con mia figlia di quarantanni, nata prematura e non a posto con la testa. Mia moglie è morta il 7 agosto 1945, di stenti, di mancanza di medicinali, una vittima della guerra, anche se deceduta pochi mesi dopo che era finita. Lei deperiva ogni giorno e non riuscivo a capire il perché; certo da mangiare non ce n’era quasi, ma mai più potevo sospettare che quando rientravo dai lavori saltuari che facevo in campagna e lei mi diceva di aver già mangiato, non era per niente vero; quel poco che c’era di commestibile lo lasciava per me e per mia figlia. Quando me ne sono accorto era troppo tardi e in pochi giorni mi ha lasciato. Aveva deciso di fare finita così quella vita senza avvenire, con la figlia cresciuta solo per affetto materno, ma senza speranze, se non la certezza che la miseria genera solo miseria. L’amavo tanto e non avevo nemmeno i soldi per un po’ di fiori; così quel giorno ho cercato di procurarmi quei gladioli che tanto le piacevano in un altro modo. Nel cimitero del mio paese non c’erano, ma ho saputo che da voi li avrei trovati; ho avuto vergogna, mi sono quasi scusato con la morta, e ne ho preso la metà, in modo da rendere meno grave l’offesa.

Il Guercio lo squadrò – Ma risparmiare come Soldino, no eh?

- Risparmiare è una parola che ignoro, quando se mangi, poco, a mezzogiorno non ti resta nulla per la sera. Ho pensato perfino di chiedere la carità, ma a chi, se tutti, anche se meno di me, sono poveri?

- E chi mi dice che tu racconti la verità? Adesso verifichiamo.

Il Guercio chiamò uno dei suoi compagni, parlottò brevemente con lui e questi uscì subito.

Soldino, intanto, gli faceva degli impacchi con un po’ d’acqua e piano piano le tumefazioni presero a ridursi.

Il tempo passava e, quando la pendola dell’osteria segno le undici, arrivò il tirapiedi del Guercio.

Entrò, abbassò gli occhi e disse – E’ tutto vero; ho chiesto in paese, sono andato a casa sua, due camere ricavate in una stalla; c’era la figlia che mi ha guardato in modo strano e si è messa a ridere come una pazza. Ho guardato nella credenza, dappertutto, e di mangiabile ho trovato solo un pezzo di formaggio ammuffito e un filone di pane comune.

Il Guercio si mise le mani nei capelli, tirò un calcio a una sedia, cominciò a bestemmiare, contro la guerra, contro il fascismo, contro il governo e contro i preti, poi fece una cosa che in vita sua non aveva mai fatto: chiese perdono e pretese che lo chiedessero anche gli altri.

Si rivolse poi a Soldino – Chi l’avrebbe mai detto? Che facciamo ora?

Rigattieri disse solo – Se mi accompagnate a casa, magari con un carretto, mi fareste un grande piacere, perché ho le gambe che mi fanno male.

- Certo, provvediamo subito. – disse il Guercio, poi parlottò con i suoi uomini.

Trovarono il carretto, ci caricarono il Rigattieri e un sacco con un po’ di pane, del formaggio, un salame e delle albicocche, e lo riportarono a casa.

Da allora, il Guercio inserì nella lista dei suoi assistiti quel poveraccio e ogni tanto, quando gli era possibile, gli faceva avere qualche cosa, in particolare ogni 7 agosto, quando Soldino toglieva cinque gladioli dai dieci che grazie alla sua parsimonia riusciva ad acquistare.   

 

 

Da Storie di paese

    

        

 

 

Angeli caduti, di Beppe Iannozzi




Angeli caduti

di Beppe Iannozzi

In copertina Angeli caduti di Sebastiaqno Bongi Tomà

Cicorivolta Edizioni


Narrativa raccolta di racconti

Collana I quaderni di Cico

Pagg. 230

ISBN 978-88- 97424-56-7

Prezzo € 13,00

 

 

Un’energia creativa travolgente

 

 

Giuseppe Iannozzi non è di certo uno sconosciuto, almeno sul web, dove sono presenti alcuni suoi blog in cui pubblica un po’ di tutto, sia di suo che di altri, in un campo che spazia dalla poesia all’editoriale, ma soprattutto caratterizzato da numerose recensioni. Al riguardo di queste ultime, non sono infrequenti le stroncature, specialmente di lavori letterari di alcuni nomi nei confronti dei quali manifesta una spiccata avversione.

Ora ha deciso anche lui di fare un salto d’ambiente e di mettersi sul mercato editoriale con un volume di racconti intitolato Angeli caduti.

E’ certamente una prova del fuoco, e credo che lui ne sia ben edotto, perché un conto è fare il critico, magari non condiviso, e un altro è scrivere opere letterarie, inevitabilmente sottoposte a un giudizio non solo dei lettori, ma anche di recensori.

Bisogna dargli atto di un certo coraggio, anche se è mia opinione che gli stroncati non si faranno vivi con valutazioni negative, ma preferiranno ignorare, e non tanto per uno stile cavalleresco, quanto perché meno si parla di un libro, minore è la possibilità che possa destare interesse.

Ciò che stupisce in questi racconti - scritti senz’altro in epoche diverse, poiché è possibile notare una modifica, anche se non rilevante, dello stile - è l’energia esplosiva di questo autore, un’energia creativa che a volte lo porta a degli eccessi e che è mia convinzione che, qualora fosse ben controllata, porterebbe a dei risultati senz’altro più rilevanti. E così ci sono prose brevissime, quasi dei flash, che a mio parere meriterebbero una più ampia elaborazione, sulla base dell’argomento trattato, e altre che invece si dilungano eccessivamente, quando il tutto si potrebbe esaurire, con maggior convenienza e piacere, nel giro di tre-quattro pagine.

Quella che però è una costante è una visione pessimistica dell’umanità e quella consistente energia creativa appare più il risultato dello sfogo di un malessere che cova dentro, piuttosto che il frutto di una lunga meditazione di carattere filosofico, maturata negli anni e magari anche esacerbata da fatti contingenti.

Nonostante questo, ci sono racconti che non possono non destare interesse ed apparire appaganti, dopo l’inevitabile primo impatto con la scrittura di un autore che s’impone al lettore, quasi travolgendolo.

Il primo della raccolta, per esempio,  Amen, oltre a essere caratterizzato da uno stile che per alcuni aspetti e a tratti si ispira a quello di Saramago, di cui mi risulta che Iannozzi sia grande estimatore,  è un monologo che, pur essendo un urlo di dolore, assume le caratteristiche di una ineluttabile constatazione sul significato dell’esistenza, raggiungendo un vertice di misticismo non certo di maniera.

Bocca di rosa, invece, è una prosa breve che forse avrebbe meritato una più ampia elaborazione, ma che è intrisa di una violenza sconvolgente, quasi una rappresentazione della disumanità dell’attuale umanità.

La stessa forza incontrollabile si riscontra pure in Istantanea, mentre invece in Vincent il vecchio c’è un maggior controllo dell’energia creativa che sfocia in un racconto in cui la penna più che incidere pare sfiorare il foglio; ne risulta così una narrazione più fruibile, più portata a soffermarsi sul significato delle parole e cercare di comprendere quel gioco di “detto e non detto” che solitamente impreziosisce un lavoro letterario.

Come è possibile comprendere, quelle che ho appena nominato sono le prose che più mi hanno convinto e che anche mi sono risultate più gradite; poi, come succede in ogni raccolta di racconti, ce ne sono di buoni e meno buoni, ma direi che nel complesso il livello è soddisfacente.

Per concludere, pur rimarcando ancora una volta il marcato pessimismo che permea l’intero libro e quella forza che si sprigiona a volte incontrollata (e che se ben orientata porterebbe senz’altro a risultati migliori), mi sento di dire che Angeli caduti, per essere quasi un’opera prima (nel lontano 1994 Iannozzi ha pubblicato un romanzo), non è male e che quindi ci troviamo di fronte a un esordio sostanzialmente positivo, tale da rendere consigliabile la lettura.

 

 

Giuseppe Iannozzi, classe 1972, torinese di adozione, giornalista e critico letterario, nell'ormai lontano 2000 d.C. è stato il fondatore di uno dei primi lit-blog culturali su piattaforma Splinder, King Lear Officina Avanguardie, che nel 2007 è diventato Jujol Cultura e Spettacolo a cura di Iannozzi Giuseppe (jujoliannozzigiuseppe.wordpress.com).
Oggi tiene viva una pagina personale all'indirizzo iannozzigiuseppe.wordpress.com, oltre a un blog di sola critica letteraria (iannozzigiuseppe.blogspot.com).
Dal 2010 scrive, insieme a RomanticaVany, poesie d'amore, tutte raccolte nel blog Biogiannozzi [& RomanticaVany] (biogiannozzi.splinder.com)-

Nel 1994 ha pubblicato il romanzo “Amanti nel buio di una stanza” (Editrice Nuovi Autori). Inoltre, con il servizio di autopubblicazione Lulu.com, ha reso disponibili al pubblico alcuni dei suoi lavori: “Premio Strega”, “Morte all'alba”, “Racconti di Nani e Giganti”, le raccolte poetiche “Nere. Gli anni delle innocenze”, “d'Amore” e “d'Amore 2” (insieme a RomanticaVany), più due instant book, “Cesare Battisti. Il fascista rosso” e “Il caso Marrazzo. Molte ombre e poca luce”.

 

 

Recensione di Renzo Montagnoli

MondoBlog del 25 ottobre 2012


MondoBlog

 

I miei consigli odierni:

 


 


 


 


 


 


 

domenica 21 ottobre 2012

Gli altipiani dei forti, di Renzo Montagnoli


Forte Belvedere
 
 
Gli altipiani dei forti

di Renzo Montagnoli

 

                                                            Forte Campomolon
 

Ai confini di Asiago e dei Sette Comuni si estende in Trentino un grande tavolato, la cui quota media è di circa 1.000 metri.

Questa distesa verde, coperta da prati e da boschi, si suddivide in tre distinti altipiani: quello di Folgaria, quello di Lavarone e quello di Luserna.

Il paesaggio è tipicamente alpino, benché i rilievi siano di modesta altezza e non siano presenti le caratteristiche formazioni rocciose proprie delle Dolomiti.

Il clima è particolarmente salubre, con inverni non troppo rigidi e buone precipitazioni nevose, e con estati ricche di sole, ma con temperature non elevate.

Questo tavolato, quindi, è particolarmente frequentato dai turisti, anche perché soprattutto per quelli delle province di Vicenza, Padova, Verona, Brescia e Mantova è facilmente raggiungibile, data la non elevata distanza e la presenza di strade comode e anche veloci.

Caratteristica che inoltre accomuna questi altipiani è la presenza di forti, che ebbero il loro battesimo del fuoco durante la 1^ Guerra Mondiale.

                                                                    Forte Cherle


Dos delle Somme, Sommo Alto, Cherle, Belvedere, Luserna, Busa Verle, Cima Vezzena, queste sono i nomi delle fortezze austro-ungariche, che dal lato opposto, cioè più a sud, erano fronteggiate da quelle italiane (Campomolon, Casa Ratti, Punta Corbin, Campolongo, Verena, Interrotto e Lisser).
 
                                                        Forte Dosso delle Somme
 

Già esistenti prima di quel conflitto, erano sempre stati zitti e quieti, ma, alla dichiarazione di guerra, iniziarono a cannoneggiarsi e quelli austriaci furono il trampolino di lancio della Strafexspedition che fra il 15 maggio e il 27 giugno 1916, nel corso di una durissima battaglia, vide le truppe dell’Intesa travolgere le linee italiane, dilagare nell’altopiano dei Sette Comuni, distruggere Asiago, per poi essere fermate proprio mentre si accingevano a scendere su Vicenza, a completamento di una manovra a tenaglia che nelle intenzioni avrebbe accerchiato il nostro esercito impegnato sull’Isonzo.

                                                                 Forte Luserna

Un po’ per i danni di guerra, un po’ per la necessità negli anni precedenti il secondo conflitto di recuperare ferro, queste gigantesche opere murarie sono state rimaneggiate, fatta eccezione per il Forte Belvedere, che lo stesso Vittorio Emanuele III volle che rimanesse intatto a testimonianza della guerra vittoriosa.

E’ l’unico a essere visitabile e si trova sull’altopiano di Lavarone; ben curato, è meta di numerosi visitatori che possono vedere come si vivesse in queste fortezze; tutto è rimasto come allora e mancano solo i cannoni nelle torrette girevoli.

                                                               Forte Sommo Alto

Gli altri forti, sia quelli italiani che quelli austriaci, sembrano scheletri di dinosauri, aggrediti dalle erbacce, ma nondimeno interessanti, tanto che esistono comodi sentieri per poterli raggiungere.  

                                                                   Forte Verle

Se le fortezze sono una caratteristica di questa zona, la stessa presenta altre attrattive e mete meritevoli di visita.

A parte i cimiteri di guerra, di cui quello di Costalta sulla strada che dal passo Vezzena porta a Luserna,è indubbiamente caratteristico e commovente, c’è la salita, a piedi o con telecabina, al Monte Cornetto, che sovrasta Folgaria, e che precipita sulla valle dell’Adige con un panorama mozzafiato. 
 
                                                              Cimitero di Costalta
 

In Località Costa di Folgaria, poi, nei pressi del Campo da Golf, c’è lo ieratico Santuario della Madonnina e, dopo una salutare e piacevole passeggiata nel bosco, il biotopo di Ecchen, una torbiera che è area protetta.

A Lavarone poi c’è il famoso laghetto, una perla incastonata nel verde, meta di numerosi bagnanti, e infine, oltre all’alpestre passo Vezzena, il passo Coe, nelle cui vicinanze, durante la guerra fredda, esisteva una base Nato con tanto di missili.

Durante la bella stagione, cioè in estate, esistono numerose passeggiate ed escursioni, e la zona è particolarmente ricca di funghi.

Nell’inverno ci sono ampie possibilità di praticare sport invernali, con piste di discesa di media difficoltà e con due centri del fondo di fama internazionale (quello di Passo Coe e quello di Luserna, che ospita ogni anno la Millegrobbe, gara a cui partecipano i migliori fondisti).

L’ospitalità è assicurata da numerosi alberghi e la cucina è quella trentina classica, che incontra facilmente i gusti di tutti.

Come si arriva?

Dal Veneto, passando da Asiago, e valicando il passo Vezzena (a proposito se sui Sette Comuni si produce il delizioso Asiago, di qua assai buono è il formaggio Vezzena, specie quello di media stagionatura); sempre dal Veneto risalendo all’Alpe dei Fiorentini e da lì, passando vicino a forte Cherle, si scende a Costa di Folgaria; dalla Lombardia con la veloce  autostrada del Brennero, con uscita a Rovereto Sud e prendendo l’ampia - ma in paio di punti stretta  - strada che porta a Serrada di Folgaria, oppure a Rovereto Nord, da cui, dopo un piacevole percorso fra i vigneti della Valle dell’Adige, a Calliano si prende la carrozzabile, stretta e tutte curve, che porta direttamente a Folgaria.

 

 

Siti Internet Utili:

 

Per alloggiare:

 


 

Per escursioni:

 


 


 


 


 


 

Tutte le notizie sui forti e le foto di questo articolo sono su:

 

Camminando tra i forti


 

 

 

La pazza di Maigret, di Georges Simenon




La pazza di Maigret

di Georges Simenon

Traduzione di Valeria Fucci

In copertina: I giardini delle Tuileries

(1969) Foto di Elliott Erwitt

Adelphi Edizioni


Narrativa romanzo

Collana gli Adelphi – Le inchieste di Maigret

Pagg. 156

ISBN 9788845926464

Prezzo € 10,00

 

 

L’umanità di Maigret

 

 

C’è una vecchina, minuta come uno scricciolo, che si aggira intorno al Quai des Orfèvres; guarda, sembra che abbia paura a entrare, ma poi si decide e chiede al piantone del Commissario Maigret. Dice che ha una comunicazione della massima importanza. La prendono per una un po’ giù di testa, per un mitomane e non acconsentono alla sua richiesta. Tuttavia, un giorno, Maigret, che era stato informato di questa strana visitatrice, s’imbatte in lei all’uscita del lavoro e questa, calma e decisa, gli comunica che da un po’ di tempo, quando ritorna a casa, trova degli oggetti spostati. E abita sola, e non ha né cane né gatto.  Il commissario è indeciso, è ancora in buona parte convinto di avere di fronte una mitomane, ma gli occhi grigi e dolci contrastano con questa ipotesi. Sì, passerà a fare una visita, le dice, passerà domani.

Ma il giorno dopo viene rinvenuta cadavere, morta per soffocamento, nel suo appartamento.

Maigret quasi si sente in colpa e visitando il luogo del delitto vede l’ambiente di una persona sola, due volte vedova, ordinata, pulita e che attendeva l’arriva dell’ultimo tramonto.

Per quanto manchino indizi, il commissario s’impegna allo spasimo, conosce i pochi parenti, una nipote mascolina e decisamente brutta, pure lei sola e che paga gli uomini per un po’ di convivenza, il figlio che lei ha avuto senza contrarre matrimonio, un ragazzo un po’ hippy, ma che, a dispetto delle apparenze, è una brava persona, innamorato solo della sua musica e della sua chitarra; conosce pure il Lungo, l’attuale compagno della nipote, già noto alla polizia per essere un balordo, un magnaccia, un malavitoso di terz’ordine.

Le indagini si svolgono fra Parigi e Tolone, città in cui Maigret s’incontrerà con un noto gangster, ormai a riposo, da cui scoprirà la verità.

Romanzo di solitudini, che stridono come le corde di un violino sotto un archetto eccessivamente premuto, fatte però di drammi silenziosi, di passi perduti, di ore sempre uguali, La pazza di Maigret ci mostra ancor di più il volto umano del commissario, la sua capacità di mettersi nei panni degli altri, di assumere in sé dolori mai leniti.

La lettura è quindi senz’altro consigliata.

 

 

 

 

Georges Simenon, nato a Liegi nel 1903, morto a Losanna nel 1989, ha lasciato centonovantatré romanzi pubblicati sotto il suo nome e un numero imprecisato di romanzi e racconti pubblicati sotto pseudonimi, oltre a volumi di «dettature» e memorie. Il commissario Maigret è protagonista di 75 romanzi e 28 racconti, tutti pubblicati fra il 1931 e il 1972. Celebre in tutto il mondo, innanzitutto per le storie di Maigret, Simenon è anche, paradossalmente, un caso di «scrittore per scrittori». Da Henry Miller a Jean Pauhlan, da Faulkner a Cocteau, molti e disparati sono infatti gli autori che hanno riconosciuto in lui un maestro. Tra questi, André Gide: «Considero Simenon un grande romanziere, forse il più grande e il più autentico che la letteratura francese abbia oggi»; Walter Benjamin: «… leggo ogni nuovo romanzo di Simenon»; Louis-Ferdinand Céline: «Ci sono scrittori che ammiro moltissimo: il Simenon dei Pitard, per esempio, bisognerebbe parlarne tutti i giorni».

Le Centre d'études Georges Simenon et le Fonds Simenon de l'Université de Liège si trovano all'indirizzo: www.ulg.ac.be/libnet/simenon.htm.

 

 

Recensione di Renzo Montagnoli