domenica 9 marzo 2014

Il castello di Stenico, di Renzo Montagnoli



Il castello di Stenico
di Renzo Montagnoli




Nel ritorno dalla bella escursione sul percorso nella Roccia che porta dall’abitato di Sanzeno al Santuario di San Romedio ho deciso, visto il tempo che avevo a disposizione, di fare una sosta a Stenico, per visitare il suo castello.
Poiché venivo dalla Val di Non, ho preso la strada che porta ad Andalo, ameno luogo di villeggiatura ai piedi delle Dolomiti di Brenta, sono sceso poi a Molveno e al suo incantevole lago e, dopo aver attraversato l’abitato di San Lorenzo in Banale,  sono arrivato finalmente a Stenico.
Il paese è assai piccolo e purtroppo la strada principale era sventrata per posare le nuove fognature, così che ho trovato da parcheggiare con un po’ di difficoltà, ma è stato anche opportuno, perché ho avuto modo di sgranchirmi un po’ le gambe dopo la lunga seduta in auto per poter affrontare la ripida salita al castello con i muscoli ben riscaldati.


La vista del maniero è veramente di grande effetto, arroccato com’è su un dosso; vi si accede una stradina con notevole pendenza.
Prima però di parlare della relativa visita ritengo opportuno raccontare un po’ la storia di questa fortezza,  di origine altomedievale, tanto che nel 1163 già c’era ed era occupata da un Capitano, che, in nome e per conto del Principe Vescovo di Trento, esercitava la funzione di massima autorità politico-amministrativa nel territorio delle Giudicarie.
Capitani e Principi Vescovi si alternarono nei secoli, lasciando ciascuno un’impronta con ampliamenti e ristrutturazioni, anche per evitare che diventasse preda di tre famiglie, in perenne contesa fra loro (i Campo, i Lodron e gli Arco), che ambivano entrare in possesso del castello per la sua rilevante posizione strategica.
Con la fine del potere temporale dei Principi Vescovi di Trento e con il trasferimento della proprietà al Governo austriaco, che lo adibì a sede dell’Imperial Regio Giudizio ed Ufficio delle Imposte, per la fortezza iniziò un lungo periodo di decadenza e di degrado culminato con i danni e le distruzioni  da parte dei prigionieri nel corso della prima guerra mondiale.
Successivamente, con il trentino divenuto territorio italiano, fu prima sede della Pretura e poi della caserma dei Carabinieri, e questo fino al 1965. Dopo, furono avviati, prima dalla Soprintendenza, poi dalla Provincia Autonoma di Trento,  i necessari lavori per il suo ripristino e il suo restauro, lavori che hanno consentito la sua apertura al pubblico nel 1973.


Il castello è costituito da due ben distinti, per quanto ben integrati, corpi di fabbrica, il primo eretto a ridosso delle mura duecentesche, il secondo rappresentato dal complesso medioevale del palazzo vescovile.
All’ingresso, superato il portale,  si trova subito un bel cortile, ma occorre procedere, passando sotto un volto, per accedere a una piazzetta, alla cui sinistra si trova subito la biglietteria. Adempiuta a questa per nulla costosa formalità, si può iniziare la visita, lungo un percorso pressoché obbligato, con scale a salire e a scendere, e che consente di vedere quasi tutto il castello, con le sue diverse sale, dove fanno bella mostra di sé mobili delle varie epoche, una cucina medievale,  affreschi di genere vario alle pareti, quadri, collezioni di serrature, di cassepanche, di armi da caccia, anche da fuoco, di armature, di stufe per riscaldamento, di armi d’epoca, e perfino di culle, di attrezzi antichi per la filatura e per la produzione del burro.


C’è molto, anzi tanto, su cui posare gli occhi e appagare la vista, immersi in un’atmosfera di un tempo ormai lontano, dalla quale ci distrae solo l’illuminazione artificiale e le gentili signore incaricate della discreta vigilanza di ogni sala. Ero già un po’ stanco per il percorso mattutino nella roccia e per quanto le gambe non fossero al meglio non avvertivo la fatica, né a salire i corrosi gradini, né a restare a lungo in piedi per osservare, nei più minuti particolati, gli oggetti presenti, fra i quali mi ha estasiato, per la qualità della fattura, un’antichissima gabbia per uccelli.
Il mobilio poi affascina al punto che ai giganteschi tavoli da mensa pare di vedere gente che consuma i pasti di un mondo che fu, e nel silenzio generale la fantasia fa udire i passi dei soldati, le voci tonanti dei commensali, un canto lontano di una damigella che si strugge per amore.
Ecco, la magia di un castello è anche questa: consentire un ideale viaggio a ritroso nel tempo, cogliendo solo gli aspetti belli, un flash forse solo di pochi istanti, ma che ti fa sentire non più visitatore, ma abitante della dimora, ed è solo così che quando si prende la strada del ritorno ci si ripromette di fare un’altra visita, in diversa stagione, per riassaporare il piacere di un tuffo nel passato, un’illusione a cui di tanto in tanto è opportuno lasciarsi abbandonare, per ricordare che noi siamo perché altri sono stati prima di noi.



Come arrivare

Il castello di Stenico dista una cinquantina di Km. da Trento e vi si arriva percorrendo la statale 45bis con direzione Tione fino a Ponte Arche. Da lì basta seguire le indicazioni presenti sulla strada.

Quando andare

Tutte le stagioni sono buone, anche in inverno, considerando che la Regione Autonoma Trentino-Alto Adige esegue una costante manutenzione delle strade, tenendole anche sgombre dalla neve, tranne temporanea impraticabilità per eccezionali nevicate, eventualità piuttosto remota per Stenico, stante la modesta altitudine (666 m.s.l.m.).


Orari di visita
Fino al 11 marzo 2013 - apertura solo sabato e domenica con orario 9.30 - 17.00
- Dal 12 marzo 2013 apertura da martedì a domenica con orario 9.30 - 17.00
- Dal 14 maggio 2013 al 3 novembre orario 10.00 - 18.00
- Dal 5 novembre 2013 apertura solo sabato e domenica con orario 9.30 - 17.00.
Aperture straordinarie
- apertura lunedì 1 aprile 2013 – Pasquetta
- apertura lunedì 29 aprile 2013 – Ponte festa del lavoro
- apertura lunedì 23 e 30 dicembre 2013
- apertura dal 26 dicembre 2013 al 6 gennaio 2014 (compreso il 30 e il 31 dicembre ed escluso il 1 gennaio)
 
Aperto anche nelle giornate del 31/3 (Pasqua), 25/4 (Festa della Liberazione), 1/5 (Festa del Lavoro), 2/6 (Festa della Repubblica), 26/6 (Patrono di Trento), 15/08 (Ferragosto), 1/11 (Festa dei Santi), 8/12 (Immacolata), 24/12, 31/12
Giornate di chiusura : 25 dicembre, 1 gennaio e lunedì non festivi.
Nei giorni di chiusura infrasettimanali, è possibile entrare su richiesta.
Possibilità di variazione tariffe ed orari per mostre temporanee. 

Prezzi dei biglietti

INTERO € 5,00
RIDOTTO € 3,00
Persone che abbiano compiuto i 65 anni di età *
Gruppi di visitatori di almeno 15 persone paganti;
Soci o tesserati di Enti convenzionati con il Museo
RIDOTTO GIOVANI  € 2,50
Ragazzi di età compresa tra i 15 e i 26 anni
ATTIVITÀ PER FAMIGLIE  € 7,00
Tariffa a nucleo familiare comprensiva dell’ingresso


Per informazioni tel. 0465 771004

Ospitalità

Il paese è molto piccolo e per dormire è necessario spostarsi alle Terme di Comano, distanti solo 6 km. Lì è possibile trovare alberghi di ogni categoria. Al riguardo di seguito c’è il link dell’ospitalità:

Fotografie

La prima, dall’alto, con il castello sul dosso, è stata reperita sul sito www.buonconsiglio.it;
le altre, con gli interni, sono state scattate da me.


Mastro Don Gesualdo, di Giovanni Verga



Mastro Don Gesualdo
di Giovanni Verga
a cura di Sergio Campailla
Newton Compton Editori
Narrativa romanzo
Collana Grandi Tascabili Economici
Pagg. 256
ISBN 978-88-541-2022-8 
Prezzo € 6,00


La roba, nient’altro che la roba


Secondo romanzo del Ciclo dei VintiMastro Don Gesualdo, pubblicato nel 1889, è senz’altro una delle opere più conosciute fra quelle scritte da Giovanni Verga e, a mio parere, è la sua migliore. Il maestro del verismo ha qui raggiunto infatti una perfezione stilistica e di analisi raramente riscontrabile, delineando la storia di un uomo che si è fatto da sé, che con il duro e costante lavoro ha raggiunto una invidiabile posizione di agiatezza che è il simbolo del suo successo. Ma l’essere riuscito ad arrivare a un traguardo insperato comporta solo amarezze, con il suo gruppo familiare che pretende sempre di più e che è avido delle sue ricchezze e con i nobili, casta già all’epoca in decadenza, che si ostinano, chiusi a riccio nei loro tramontanti privilegi, a considerarlo solo un parvenu, a trattarlo con distacco, se non addirittura a disprezzarlo ostentatamente.
Da muratore a imprenditore, a proprietario terriero, é chiuso in una solitudine e in una infelicità che nemmeno il matrimonio con una nobildonna (auspicato da lui come simbolo ufficiale dell’abbandono del vecchio ceto miserevole) potrà sanare. Non amato dalla moglie, né dai familiari, spesso malvisto addirittura, non gli resterà che attaccarsi allecose conquistate che per lui rappresentano le fatiche di una vita di massacrante lavoro e il riscontro positivo di questi sforzi. Per quanto il contesto storico sia segnato dal progressivo evolversi di una nuova classe sociale (la borghesia) di cui Mastro DonGesualdo è un chiaro esempio,  dal perpetuarsi dell’immobilità del ceto più povero, quello dei carusi, dei contadini a giornata, degli ancora pochi operai (almeno in Sicilia) e dalla progressiva inevitabile decadenza della nobiltà, ancorata a una visione arcaica dell’esistenza e incapace di comprendere i nuovi tempi, il romanzo non ha solo una valenza riferita a un particolare e determinato periodo temporale (la prima metà del XIX secolo), ma assume caratteristiche di universalità ove si tenga conto delle seguenti considerazioni:
1)   Il protagonista fa suo il modus operandi del capitalista, uguale ancor oggi come più di un secolo fa, con quella ricerca non solo della ricchezza, ma del senso di potere che da essa deriva;
2)   L’invidia e l’avidità sono proprie degli esseri umani, e ciò fin dalla comparsa degli stessi sul pianeta; le ricchezze di altri sono bramate, sono opportunità di cui avvalersi cercando di impossessarsene;
3)   La storia è frutto di una continua evoluzione temporale ed è impossibile fermare i fenomeni che si vanno affermando; così all’epoca è la nobiltà che sta scomparendo, una nobiltà derivante da antichi privilegi messi in discussione non tanto da una rivincita dei plebei, quanto piuttosto dalla capacità e dallo spirito di iniziativa  che sono propri della borghesia.
L’aver raggiunto traguardi impensabili, l’aver accumulato fortune non salva però l’individuo dal giudizio dei suoi simili, mai positivo, e in effetti quel Mastro e quel Don attribuiti a Gesualdo Motta non sono frutto di ammirazione e di rispetto, bensì vengono a comporre un nomignolo spregiativo, perché Mastro normalmente viene attribuito a chi dirige un gruppo di lavoro di muratori e Don è un epiteto riservato ai nobili e ai proprietari delle terre. Presi singolarmente questi termini non sono sinonimo di disprezzo, ma messi insieme evidenziano la natura del personaggio, la sua modesta provenienza e il traguardo a cui cerca di giungere. Involontariamente, con questi titoli si è finito con l’evidenziare le caratteristiche dei componenti della nuova borghesia, tesi a sollevarsi dall’eterna indigenza per giungere nell’empireo della nobiltà, di cui però non faranno mai parte, anche imparentandosi con essa.
Gesualdo Motta è un uomo che vive solo in funzione dei suoi interessi, trascurando moglie e figlia per coltivarli, con un attaccamento maniacale alla roba, a quanto da lui conquistato, tanto da impedirgli di condurre una vita normale tesa alla serenità e a quel poco di felicità che può riservare.  Il suo ritratto è impietoso, così come anche la sua fine che lo vedrà soccombere a un male incurabile, solo come un cane senza padrone, lasciando indifese le sue ricchezze, di cui altri finiranno con il beneficiare (il genero Duca di Leyra).
Intorno a lui ruotano tanti personaggi, descritti mirabilmente: la moglie Bianca Trao, nobile, una donna sostanzialmente buona che non ama il marito, Isabella Motta, figlia solo di nome di Gesualdo Motta, in quanto frutto di una relazione della madre con un nobile scapestrato, e che, benché unica erede, detesta il padre a tal punto di farsi chiamare con il cognome della madre, i parenti acquisiti Trao, che della conservazione della loro posizione nobiliare e delle loro ricchezze hanno fatto la loro unica ragione di vita, la famiglia di Gesualdo, che ne ha invidia e che di sicuro non lo ama.
Non vado oltre, perché di personaggi ce ne sono veramente tanti, ma nessuno è superfluo, anzi sono collocati esattamente nella trama come contorno indispensabile per giungere a definire il protagonista, la vicenda, il contesto storico. Mi è impossibile però non citare i dipendenti di Gesualdo, gran lavoratori e che probabilmente sono gli unici a capirlo per le loro origini e perché sono cresciuti con le sue iniziative. 
Mastro Don Gesualdo è la storia di un uomo che volle farsi re, odiato dal suo ceto di origine, che lo considera in pratica un traditore, e detestato dalla nobiltà per il suo sangue non blu e che finisce per considerarlo un vero e proprio intruso. Né carne né pesce, scivolerà piano piano in un’angoscia esistenziale, in un attaccamento morboso agli averi, con un possesso che è fine a se stesso. Soprattutto gli mancherà la possibilità di parlare in modo da capire ed essere capito e la sua solitudine è l’amaro risvolto di un’esistenza in cui non c’è spazio né per i sentimenti, né per la pietà, un mondo chiuso da cui gli altri sono esclusi, considerati di fatto un pericolo per la dorata prigione che tanto faticosamente si è costruito.
Il romanzo è più che bello, è splendido e credo proprio che considerarlo un capolavoro sia una valutazione appropriata.

Giovanni Verga nacque nel 1840 a Catania, dove trascorse la giovinezza. Nel 1865 fu a Firenze e successivamente a Milano, dove venne a contatto con gli ambienti letterari del tardo Romanticismo. Il ritorno in Sicilia e l’incontro con la dura realtà meridionale indirizzarono dal 1875 la sua produzione più matura all’analisi oggettiva e alla resa narrativa di tale realtà. Morì a Catania nel 1922. Di Verga la Newton Compton ha pubblicato I MalavogliaMastro-don GesualdoStoria di una capinera, Tutte le novelle Tutti i romanzi, le novelle e il teatro.


Recensione di Renzo Montagnoli


MondoBlog del 9 marzo 2014

MondoBlog

Le segnalazioni: