mercoledì 21 maggio 2014

Andar per colli, di Renzo Montagnoli

Andar per colli
di Renzo Montagnoli


Quando s’apre la bella stagione e la primavera irradia di luce cristallina tutta la natura sorge spontaneo il desiderio di fare una gita fuori porta. Per i mantovani una meta quasi obbligata, anche per la vicinanza, è costituita dalle colline moreniche del Garda, una serie di rilievi, per lo più modesti, frutto del lavoro di erosione del ghiacciaio che milioni di anni fa occupava quello che attualmente è senza ombra di dubbio uno dei più bei laghi del mondo. L’importante è non avere una meta precisa e procedere sorretti dal piacere di riscoprire il risveglio della natura, di ammirare il nuovo verde che ricopre i declivi, di respirare l’aria fresca, ma pura che scende dal non lontano Monte Baldo. E quindi questo andar per colli diventa il varo di una nuova stagione, l’avvio di un percorso di altre gite sia primaverili che estive. Si può andare in auto, ma anche in bicicletta, benché le distanze e le pendenze, pur non essendo proibitive, richiedano un preventivo allenamento che l’inverno ha di fatto reso impossibile.
Raggiunto Goito, l’ultimo paese in pianura, attraversato dalle acque veloci del Mincio e impreziosito da Villa Giraffa, una delle residenze gonzaghesche, si procede verso Volta Mantovana. Il borgo é incastonato in cima a una collina, a cui si giunge con una comoda strada che tuttavia è caratterizzata da un paio di tornanti. Da lassù la vista sulla fertile pianura mantovana che si va risvegliano dal torpore dell’inverno è di sicuro effetto, ma c’è altro da vedere in questo luogo: il palazzo Gonxaga-Guerrieri, fatto erigere alla metà del XV secolo dal Marchese Ludovico III Gonzaga e l’antico castello, risalente all’XIsecolo, voluto assai probabilmente dalla famosa Matilde di Canossa.
Si procede verso Nord e si arriva a Ca’ Piccard, dove all’incrocio si gira a destra per scendere a Borghetto sul Mincio, il più bel borgo d’Italia, risalendo poi a Valeggio sul Mincio, dove, avendo tempo a disposizione, si può visitare lo splendido Parco Sigurtà. Lasciato alle spalle il Castello Scaligero del XIII secolo, ci si dirige verso Custoza, a cui si arriva attraversando dei vigneti, da cui si ricava il pregiato vino bianco di Custoza. Li è quasi d’obbligo fare una visita all’ossario eretto nel 1879 e che raccoglie le spoglie dei soldati piemontesi e austriaci caduti durante due grandi battaglie: quella del 25 luglio 1848 in cui Radetzky sconfisse l’esercito di Carlo Alberto e quella del 24 giugno 1866 che si concluse ancora con la sconfitta degli italiani guidati dal Generale La Marmora, mentre gli avversari erano condotti dall’arciduca Alberto d’Austria. Fra tutte quelle povere ossa non si può fare a meno di pensare quanto la guerra sia terribile, oltre che inutile.
Poi si torna indietro, fino a Valeggio, per portarsi, con una strada che costeggia il Mincio, a Monzambano, caratterizzato dal bel Castello fatto erigere nell’XI secolo da Matilde di Canossa. Da lì, si piega verso ovest e lungo belle stradine, in continui saliscendi, si entra nel cuore delle colline moreniche. Mete irrinunciabili sono Castellaro Lagusello, uno dei più bei borghi italiani, ma anche altre testimonianze delle nostre guerre di indipendenza, fra le quali San Martino della Battaglia (da visitare la sua celebre torre inaugurata nel 1893 ed eretta in memoria vi Vittorio Emanuele II  e di tutti quelli che hanno combattuto nelle guerre che hanno portato all’unità d’Italia), Cavriana, dal bel castello dell’XI secolo e Solferino, su cui ritengo sia necessario soffermarsi un po’.  Ivi sorge una rocca alta 22 metri, eretta nel 1022 e obiettivo della più importante battaglia della II Guerra d’Indipendenza. Il 24 giugno 1959, infatti, sulle colline di Solferino i franco-piemontesi si scontrarono con gli austriaci, in tutto 230.000 uomini; il combattimento si concluse con la vittoria dei primi, ma con perdite enormi, superiori a quelle della ben più nota battaglia di Waterloo.  Al termine di 14 ore di scontro rimasero a terra, cadaveri, ben 29.000 soldati. Se questa battaglia significò di fatto la fine della II Guerra d’indipendenza, con l’annessione al Piemonte della Lombardia, ad eccezione di Mantova, fu anche l’occasione per un altro evento straordinario: la nascita della Croce Rossa. Infatti, era presente lo svizzero Henry Dunant, che lì accorse richiamato dalle voci della carneficina; nell’organizzare un minimo di soccorsi alle migliaia di feriti gli venne l’idea di fondare questa meritoria istituzione, tesa a soccorrere tutti, indipendentemente dalla divisa. A Dunant nel 1901 fu conferito il Nobel per la pace.
Siamo al termine di questo viaggio storico-geografico, un itinerario fra i più  belli nell’Italia settentrionale, su queste colline un tempo insanguinate e su cui ora si sviluppano vigneti che danno vini di elevata qualità, fra i migliori al mondo, bianchi, rossi e rosati, fermi e mossi, in una varietà notevole, pur a fronte di produzioni di modeste quantità.
Qui, dove si avviò l’unità d’Italia e tanti giovani conclusero sanguinosamente la loro esistenza, si compie di fatto un vero pellegrinaggio, un ritorno al passato che testimonia le origini del nostro presente.   Vorrei ricordare questi caduti e queste colline con una mia poesia, che credo possa concludere nel migliore dei modi questo articolo.

Colline risorgimentali

Qui, colline ridenti dai ricchi vigneti,
campi ordinati di bionde messi,
l’aria del lago a mitigare l’arsura estiva,
a lenire il freddo nebbioso dell’inverno.

In altri tempi clamori d’arme,
cozzi di cavalli nell’impeto dello scontro,
sudore misto a sangue profuso a volontà,
in nome di un’Italia che ora queta riposa.

San Martino, Solferino, Custoza,
nomi che s’imparano a scuola,
ricordi di risorgimentali battaglie,
francesi, austriaci e piemontesi
a scannarsi per l’altrui gloria.

Il rosso dei campi è ora solo quello dei papaveri,
gli unici suoni sono quelli dei trattori,
o le voci di teneri innamorati
che camminano pensando solo al futuro,
senza memoria di un passato lontano,
di un tempo finito.

Maestose steli sui colli ricordano
morti senza nome,
ossa senza nazionalità,
poveri teschi dalle occhiaie vuote,
un monito per chi ancora non sa vedere
l’inutilità e la bestialità di una guerra.

E nelle notti d’estate la brezza del Garda
sembra portare voci sommesse di un coro,
un sussurro,
un anelito di vita,
il rimpianto di chi qui ha lasciato
per sempre la speranza nel futuro.









Le foto di questo articolo, tutte reperite su Internet,
sono relative alle località visitate e per la precisione,
nell’ordine dall’alto in basso, Goito, Volta Mantovana,
Custoza, Monzambano, San Martino della Battaglia,
Cavriana e Solferino.


3 commenti:

  1. COMPLIMENTI TANTI RENZO, SIA PER LA DESCRIZIONE DEI LUOGHI CHE PER LA POESIA RICCA DI VERITA' E DI SENTIMENTO!!!!!!
    Giovanna

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  2. Quante meraviglie nasconde e ugualmente mostra questa nostra tormentata nazione! Il bel racconto di un viaggio che spazia nella storia, nel paesaggio, nella cultura. Luoghi conosciuti, perché studiati a scuola e amaramente ricordati, alcuni perché visitati, altri solo immaginati. Viaggi reali o semplicemente raccontati da altri, belli sempre, comunque.
    Borghetto sul Mincio ritorna, ricordo un altro bell'articolo nel quale ne parlavi, e che mi è rimasto molto impresso.
    Quanto dolore ripensando alle nostre guerre (quanta amarezza nella tua poesia), e nel vedere oggi tanta gente dalla memoria corta impegnata in una sistematica demolizione di questo nostro Paese nonostante tutto bellissimo.
    Grazie.
    Piera

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  3. Conosco questi posti, belli veramente.
    La poesia é di struggente bellezza, nel rievocare il nostro risorgimento e i tanti morti, dall'una e dall'altra parte, caduti per la gloria e iol potere dei loro governanti.

    Agnese Addari

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