sabato 24 ottobre 2015

Un amore innocente, di Domenica Luise

                                                                       Foto sa web


Un amore innocente
di Domenica Luise


Il vecchio tremolante si sta avviando dal bar al supermercato, dal terzo piano di un casermone a sinistra una voce femminile grida: -Papà!
Il vecchio si blocca subito: -Sì, tesoro?
-Papà, mi serve una bottiglia di acqua frizzante, non farmi scendere solo per una bottiglia di acqua.
-Va bene, tesoro, ti serve altro?
-Visto che ci sei, papà, oggi ho solo formaggio, magari prendi un po’ di prosciutto cotto, quello compatto-, il donnone dice pure la marca e il tipo di confezione, chiede un po’ di mortadella e le pesche gialle pelose. Il vecchio entra al supermercato e fa la spesa con la sua pensione.
Un paio di volte alla settimana incontra certi amici al bar sotto casa e fanno uno scopone senza soldi, si divertono molto e chi perde paga il caffè a tutti, un caffè vero, non lento come quello della figlia. Oggi la vittoria gli costa ventitré euro e il muso dei due nipotini amatissimi appena torna a casa:
-E a noi niente?
Rimedia con cinque euro per uno, la figlia nemmeno gli chiede quanto ha speso. Si lamenta che è troppo tardi per andare a mare e sente caldo, le pesche sono acerbe, il prosciutto è poco, la mortadella è stantia, per l’acqua non dice niente e significa che va bene. Già.
Finalmente fa una doccia rapida ed esce dal bagno in due pezzi, con tutta quella pancia e il petto che scappa. Uno spettacolo:
-E sono già sudata di nuovo.
Si attorciglia intorno alla vita un pareo trasparente multicolore.
Madre e figli fanno il gesto di avviarsi: -Tu non vieni? Mio marito torna stasera, noi mangiamo là un panino, ho fatto anche un’insalata di pomodori, così andiamo leggeri.
-Non mi sento, fa troppo caldo, forse più tardi mi prendo un gelato.
-Per andare coi tuoi amici ti sei sentito-, ritorce subito la figlia. Il vecchio si arrabbia, ma non trova cosa risponderle e si siede davanti alla televisione, gli piace un film del secondo canale perché c’è un buffo cane con gli occhi intelligenti.
Peccato, poteva portare lui l’ombrellone.
Ascolta la porta sbattere, ci sente ancora perfettamente, e i passi, pesante la madre e saltellanti i bambini: scendono le scale perché nemmeno oggi l’ascensore funziona.
Lascia subito il film ed entra nello stanzino dove dorme per guardare liberamente la foto della moglie morta nella cornice buona sul comodino. Accarezza il vetro con le dita e ancora piange dopo nove anni.
Si chiamava Marisa. Non sapeva baciare e la notte del matrimonio fece l’amore per la prima volta e solo con lui a venticinque anni.
In viaggio di nozze indossava un tailleur principe di Galles e una bella borsa verde grande di pelle, aveva perfino la cappelliera e una camicetta di seta impalpabile, verde pure quella, a pallini gialli.
Era biondo naturale e sembrava una svedese.
A quei tempi in chiesa si portavano le maniche al gomito, non come oggi che si sposano scollacciate, stile vedo non vedo.
Marisa, al mare, aveva sempre indossato costumi interi e tutti le sembravano troppo audaci per lei. Gli chiedeva: -Sono indecente?
-Sei bellissima.
E gli diceva sempre: Roberto mio.
Ne ricordò quei dentini quando rideva, ne aveva uno un poco storto sul davanti che gli metteva tenerezza. Aveva chiesto le ricette alla suocera per imparare a cucinargli tutti i suoi piatti preferiti, da allora lui non aveva più assaggiato una pasta con le sarde come si deve e nemmeno quelle ciambelle saporose a colazione, col caffè appena svegli e sempre allegri o subito pronti a fare pace dopo un bisticcio scemo.
I due giovani sposi la sera, prima di addormentarsi, recitavano insieme le preghiere che i bambini imparano quando fanno la prima Comunione.
Marisa, nel corso degli anni, gli aveva dedicato un quaderno di poesie d’amore assolutamente sdolcinate, erano cinquantaquattro come l’età in cui il cancro l’aveva portata via. L’ultima gliel’aveva dettata, occhi negli occhi, sei giorni prima di addormentarsi, si intitolava: Non ti lascio davvero.
Perché non era morta: dormiva.
Egli era acculturato e s’intendeva di poesia, espressioni come “Tu sei il mio cuore” oppure “La mia anima bacia la tua” avrebbero fatto ridere i polli moderni, ma Roberto da subito si commosse per quelle parole ridondanti, fuori tempo e innocenti, dopo la morte di Marisa le imparò a memoria tutte e cinquantaquattro ed ognuna lo trafiggeva, ne ripassava una diversa al giorno e la sera, dopo le preghiere di sempre, la ripeteva a lungo nel pensiero anche se lei non era più lì a tenerlo per mano, poi le ricominciava tutte dall’inizio e godeva di essere stato amato amando fino a tal punto. Ogni parola era vera, anzi inferiore alla realtà. L’amore talora è sdolcinato o dolcissimo, perfino languido. Il respiro del seno di lei sotto quella camicetta di seta verde così sottile e come le batteva il cuore. Per questo non ne parlava mai e teneva nascosto in fondo al comodino il quaderno delle poesie anche perché non si sciupasse oltre, il tempo era passato e i fogli diventavano gialli, i tratti della penna scolorivano, incominciò a ricopiarle tutte in un quaderno nuovo e gli piacque di rispondere a poesia con poesia durante l’insonnia notturna e fu delizioso.
-Vienimi a prendere- sussurra il vecchio. Si sdraia sul letto e finge di morire e di vederla.




2 commenti:

  1. Commovente, straordinaria nella sua semplicità! Brava Mimma, sei sempre in prima linea nei miei apprezzamenti. Un abbraccio
    Danila

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  2. Un racconto tenerissimo che affronta con delicatezza alcuni dei temi più importanti della vecchiaia: l'incomprensione, spesso, da parte di chi è più giovane e la conseguente solitudine, e poi la nostalgia e il rimpianto verso chi è andato via prima. Mi è piaciuto pur intristendomi un poco, perché è la realtà ad essere così e noi tutti vorremmo che non lo fosse.
    Grazie, Mimma, e grazie, Renzo.
    Piera

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