lunedì 15 febbraio 2016

Il giudice e il suo boia, di Friedrich Durrennmatt



Il giudice e il suo boia


Adelphi pubblica l’opera prima del grande romanziere e drammaturgo svizzero, un “noir” cupo e coinvolgente


Strepitoso Durrenmatt, una partenza con il giallo


Dicono che il personaggio del commissario Barlach, protagonista del noir Il giudice e il suo boia(pp.121, euro 15), strepitosa opera prima di Friedrich Durrennmatt, che Adelphi – intento a curarne l’opera omnia -, ci propone ben tradotto da Donata Berra, possa, per alcuni versi richiamarci la figura del notissimo commissario Maigret disimenoniana memoria. Il raffronto regge fino ad un certo punto, perché quanto il commissario dell’autore belga è dotato di calore umano, altrettanto nel personaggio svizzero non abbiamo la sensazione di rilevare apertamente questo sentimento, essendo egli  più enigmatico ed introverso.
Eppure fu lo stesso Simenon, che del genere se ne intendeva, quando lesse questo noir cupo, implacabile e lacerante, ad affermare: ‹‹Non so che età abbia l’autore. Se è alla sua prima prova, credo che farà strada››. E ci prese in pieno, perché Durrenmatt(Kolonfingen 1921-Neuchatel 1990) è il maggior romanziere svizzero del Novecento, anche drammaturgo e polemista. Teatro del singolare giallo è la terra del bernese, regione natia dell’autore. Ed ecco che il commissario Barlach, pacato e risoluto sessantenne, nonostante la malattia, è chiamato ad intervenire sul mistero di un suo sottoposto, l’ispettore Schmied, un tenente della polizia di Berna, assassinato nell’auto ritrovata in campagna. Con precisione elvetica, l’autore ci comunica anche la data: 3 novembre 1948. E ci fa navigare, dall’inizio alla fine, dentro atmosfere fredde e piovose, atte a creare un clima torbido, perfetta cornice dell’azione. Partono le indagini, di questo giallo emblematico, presto bloccate dal potere e dalla burocrazia. Compito di Barlach è dunque anche quello di stanare il cancro che si annida nel sistema, contagiando la società. L’inchiesta assomiglia ad un duello Vita/ Morte. Al commissario Barlach, ormai prossimo al pensionamento, per seri motivi di salute, si affianca l’assistente Tschanz. Nel corso dell’opera, Barlach incontra Gastmann, suo vecchio amico/nemico, sospettato daTschanz di essere il vero omicida. Per oltre quarant’anni  il commissario ha seguito le orme di questo killer seriale nel vano tentativo di fornire le prove dei delitti via via più audaci, efferati e sacrileghi che costui ha commesso per capriccio.
‹‹Dicevi che è da stupidi compiere un delitto, perché non è possibile muovere gli uomini come figure su una scacchiera. . .›› Forse proprio questa persuasione di Barlach aizzava ed aveva aizzato Grossmann nella sua perversa convinzione della esistenza del delitto perfetto.
L’epilogo è più che sorprendente. Addirittura sconvolgente. Si tratta di una delle opere che meglio esprime il pensiero dell’autore che intende dimostrare l’impossibilità per la giustizia istituzionale di arrivare alla verità, sempre convinto dell’abisso che intercorre tra verità e giustizia umana e verità e giustizia poliziesca.
Nel 1975 è uscito il film Assassinio sul ponte, liberamente tratto da questo testo, scritto e diretto da Maximilian Schell.
Nel 1972 in Italia fu tratto dal romanzo uno sceneggiato televisivo, diretto da Daniele D’Anza con Paolo Stoppa (Barlach) e, Ugo Pagliai (Tschanz).


Grazia Giordani



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