giovedì 14 luglio 2016

Le pecore di Giuseppe, di Stefano Giannini

Le pecore di Giuseppe
di Stefano Giannini
 
 
Era lunedì 23 settembre 1944, la guerra, da mesi, manteneva il fronte su queste nostre contrade. Postazioni tedesche in trincee con nidi di mitragliatrici e batterie di mortai erano sparse un po’ ovunque pronte ad accogliere l’arrivo del nemico.
Quel micidiale mostro di guerra dell’esercito tedesco sferrava gli ultimi colpi di coda prima di abbandonare l’Italia, anche da questa parte della “Linea Gotica”, grosso baluardo di resistenza all’avanzare dal sud delle forze alleate che lentamente, ma inesorabili, occupavano sempre più terreno. Gli scontri e le conseguenti battaglie si susseguivano intense e cruente. Le rappresaglie, gli eccidi di persone civili inermi o d’intere comunità, come a Tavolacci, dove furono trucidate 64 persone, fra cui diversi bambini, erano purtroppo frequenti.
Attraverso le dolci colline della media e alta Valle del Savio, ai due lati della strada statale n° 71, gruppi di soldati tedeschi, come antichi predatori, scorrazzavano nei borghi, nei villaggi, nelle case sparse razziando cose, animali e uomini. Rabbiosi e crudeli perché intuivano l’imminente definitivasconfitt, avevano smarrito ogni sentimento di pietà
Gli animali da cortile servivano loro per rifocillare le truppe che da mesi non ricevevano più scorte e rinforzi, i bovini, per trasportare carri di munizioni e vettovaglie, gli uomini, per lo più contadini strappati dalle loro case o dai campi, erano condotti in Germania a lavorare nelle fabbriche rimaste a corto di personale, giacché tutti i loro maschi oltre ai 14 anni erano stati inviati sui vari fronti di guerra.
Quando queste pattuglie, o per meglio dire “ bande”, passavano per il  “rastrellamento” (così era chiamata la loro razzia), la gente dei villaggi si allertava a vicenda del loro imminente arrivo con segnali convenzionali e passaparola.
Quel giorno, anche nel borgo chiamato “Cassandra”, giunse l’allarme che in breve, come un tam tam, echeggiò di casa in casa : " una pattuglia di soldati tedeschi sta rastrellando Sorbano Alta, poi arriveranno da noi …, stare all’erta ! "
Immediatamente, gli uomini sotto i 60 anni, dopo aver messo poche cose nello zaino, velocemente si dileguarono verso il bosco.
Le donne e gli anziani condussero nelle macchie vicine, mucche , vitelli, asini, nascondendoli in mezzo a folti cespugli.
L’agricoltore Giuseppe d’anni 56, già da qualche tempo, aveva nascosto il grano in diverse damigiane e sotterrate nel campo, così pure un baule di biancheria (il corredo da sposa della moglie Mariuccia). Non aveva bovini e  asino ma solo polli, conigli e due pecore; queste erano un grosso provento per la sua famiglia. Davano formaggio, lana e agnelli, perciò sarebbe stato un grosso danno economico se le avessero  razziate  i soldati tedeschi.
Fu così che decise di nasconderle in un luogo sicuro. C’era poco tempo, i soldati stavano per arrivare. Sotto il porcile (allora senza inquilino), c’era un angusto vano scavato in parte nella roccia che non veniva usato, la cui piccola porta d’entrata non era visibile, essendo esposta dalla parte di un dirupo coperta da ortiche e rovi.
Ritenendo fosse questo il posto ideale, con difficoltà vi condusse le pecore, vi portò erba e fieno a volontà, sperando vivamente che non avessero belato.
Ai suoi tre bambini fu imposto di stare chiusi in casa, buoni e zitti.
Poco dopo arrivarono, erano in cinque, armati di fucili e pistole. Giuseppe, con la barba incolta di mesi per sembrare più vecchio, e sua moglie Mariuccia li attendevano sotto il portico. A voce alta e piglio deciso uno di questi apostrofò Giuseppe in tedesco, chiedendogli l’età e se aveva visto dei partigiani in zona, mentre gli altri, avvicinatisi al porcile, chiedevano dov’era il maiale e se aveva altri animali. Fortunatamente Giuseppe conosceva abbastanza bene il tedesco (nel 1918 era stato prigioniero in Austria e successivamente aveva lavorato in Germania). Rispose di avere 65 anni, di non aver mai visto dei partigiani da quelle parti, che il maiale era stato venduto e non possedeva altri animali perché era una famiglia povera la sua.
Uno di loro, furibondo, lo minacciò con la pistola e, afferratolo per il petto, gli urlò che lo avrebbe ucciso se non diceva la verità.
A quel punto Mariuccia, d’istinto, si gettò sulla mano del militare che impugnava l’arma cercando di strappargliela con tutta la sua forza, senza riuscirvi.
Il tedesco reagì con rabbia scaraventandola a terra, poi urlando e imprecando, scaricò la pistola sulle galline che razzolavano nel cortile uccidendone tre.
Intanto un soldato era entrato in casa a rovistare nelle stanze e dentro i pochi mobili, un altro, gironzolando per il cortile notò in terra delle palline scure, i tipici escrementi delle pecore; puntando il fucile al petto del povero Giuseppe, perentoriamente voleva sapere dove erano nascoste. In quel momento una muta preghiera sgorgò spontanea dal suo cuore : “ Signore ! Fa che le pecore non belino ! “
Anche a quella violenza Giuseppe non reagì, mantenne la calma e raccolto tutto il suo coraggio cercò di convincerli che non possedeva né pecore né altro bestiame oltre ai polli e ai conigli.
Quello, per lui, fu certamente un gran brutto momento, denso di tensione e paura, perché se le pecore, che erano vicinissime, avessero emesso anche un solo belato, Giuseppe e forse tutta la sua famiglia sarebbero stati fucilati sul posto senza pietà. Curioso ma probabile : la vita di una famiglia che dipendeva da un belato.
Fortunatamente, le brave e buone pecore di Giuseppe restarono mute per tutto il tempo, quasi consapevoli della gravità dell’evento.
Dopo aver messo a soqquadro capanni e ripostigli attorno a casa, ed essere entrati e usciti più volte dal porcile, sotto il quale stavano le pecore, cercandole affannosamente, rivolsero con ira altri avvertimenti e minacce ad entrambi i coniugi atterriti, poi, raccolte le tre galline morte ed un paio di conigli se n’andarono verso il vicino casolare a ripetere le loro brutalità e barbarie con altre persone inermi.
Quando, scampato il pericolo, Giuseppe e sua moglie, ancora tremanti di paura, rientrarono in casa, trovarono i loro tre figli: un maschietto di otto anni, e le due femminucce di sei e quattro anni, terrorizzati, rannicchiati in un cantuccio a fianco del camino, spaventati e ammutoliti avendo essi assistito a tutta la scena.
Da dietro le persiane semichiuse della casa di fronte, due donne, trepidanti, che non si erano perse un solo attimo del fattaccio, subito accorsero a rincuorarli.
Le drammatiche immagini di quel giorno, al maschietto, oggi felice nonno, gli sono rimaste stampate nella memoria e così le racconta ai posteri.


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